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Langues d'Europe

Lettera a Luciano Violante. Assisi /problema delle lingue europee.

Luciano Violante (E-mail)
Assisi / problema delle lingue europee. / 15 Ottobre 2003

Signor Presidente,

A seguito della nostra breve conversazione ad Assisi, nel contesto del "Corso di Studi Cristiani", mi sono permessa di inviarle alcuni testi, miei e di altre persone coinvolte nella battaglia per la difesa delle lingue. L'aggravarsi della situazione, nel corso di questi ultimi due/tre anni, ha spinto molti di noi a protestare, e ha dato luogo alla creazione di gruppi di lavoro e di riflessione, al fine di attirare l'attenzione delle istanze responsabili sulla situazione di illegalità e di illegittimità che subisce l'aspetto linguistico e culturale del progetto di integrazione, in seno alle istituzioni europee, la qual cosa tinge queste istituzioni di un deficit democratico grave e di vasta portata.

Di ritorno a Bruxelles, ho fatto delle ricerche su quanto da Lei affermato sul fatto che i Tedeschi volevano conservare l'uso della loro lingua e sono stati bloccati da Italiani e Spagnoli. In effetti Lei ha ragione: è quanto sta accadendo in seno al Consiglio di Ministri. L'equivoco è nato perché io mi riferivo al sistema linguistico della Commissione Europea e Lei a quello del Consiglio. Comunque sia, la situazione è gravissima, in entrambe le istituzioni, e se non corriamo, in fretta, ai ripari rischiamo la colonizzazione pura e semplice.

Gli Italiani, in Europa, diventeranno cittadini di seconda categoria e c'è poco da consolarsi se saremo in compagnia degli Spagnoli e magari anche dei Tedeschi. La gravità di questo dato di fatto resta intera. In effetti, il problema non è affatto quello di bloccare i Tedeschi, ma quello di salvaguardare, da un lato, la ricchezza linguistica e culturale dell'Europa che costituisce il suo appannaggio e la sua unicità, dall'altro, e soprattutto, il sacrosanto diritto dei Popoli europei a conservare la loro identità. L'Italia, la Francia, la Germania, non sono dei piccoli Paesi con un mercato interno che non ce la farebbe mai ad avere e conservare una propria cultura (cinema, televisione, musica, editoria) sono dei grandi Paesi, culture di livello mondiale che hanno fatto la storia, che hanno impregnato il mondo di tutte le forme dell'arte e del sapere, il peso dei quali, in seno al progetto di integrazione europea, è determinante. L'assoggettamento, perché è di ciò che si tratta, di questi Paesi agli Anglo-Americani è inammissibile.

I pretesti di carattere economico che s'invocano sono degli ignobili raggiri, tipici del pragmatismo ipocrita degli anglosassoni. Pretesti che non stanno in piedi, non reggono a un'esame serio del problema. I fondi destinati alla Traduzione e Interpretazione, indipendentemente dall'ammontare, provengono comunque, essenzialmente, dai finanziamenti dei grandi Paesi come L'Italia, la Francia, la Germania, l'Inghilterra, non si capisce perché i primi tre dovrebbero accettare di privarsi dell'uso della propria lingua, in un'ottica di rigida economia, a beneficio esclusivo di quest'ultima. Nessuno sembra rendersi conto che qualora i costi della traduzione, dell'interpretazione, del multilinguismo, venissero consensualmente diminuiti, in seno alle istituzioni europee, a solo beneficio di una o due lingue, i conseguenti costi interni che un grande Paese come l'Italia dovrebbe affrontare, in termini di non-partecipazione o di difficoltà di partecipazione ai programmi, agli appalti, ai progetti di cooperazione, in termini di accesso a tutte le opportunità che il processo di integrazione crea, sono incalcolabili.

L'Italia deve esigere il ritorno, in seno alle istituzioni europee, a delle strutture rigorosamente multilingui, nel contesto delle quali l'Italiano deve avere il posto che gli compete, quello della lingua di uno dei quattro "grandi", terzo contribuente netto e, per di più, Stato Membro fondatore, depositario del progetto originale.

In vista delle nuove adesioni è necessario avere un progetto che miri a consolidare le posizioni e a creare uno "status quo". Ferma restando la necessità di tradurre tutta la regolamentzione in tutte le  lingue, le lingue di lavoro e di procedura, le lingue veicolari dell'Europa dovranno essere un numero sufficiente, per garantire il plurilinguismo e la diversità culturale. La soluzione potrebbe essere di privilegiare, da una parte le lingue dei Paesi fondatori, che hanno dei diritti che si potrebbero assimilare ai diritti acquisiti, in quanto Paesi che sono all'origine della Comunità Europea, e tra questi, i tre "grandi" Italia, Francia, Germania, che danno un contributo fondamentale all'identità dell'Europa, dall'altra, la lingua del Regno-Unito che è anch'esso uno dei quattro "grandi" e della Spagna la quale pur non essendo un Paese delle stesse dimensioni dei quattro è un Paese latino con grande apertura e influenza sul mondo. Tenendo conto del fatto che la dimensione latina dell'Europa rappresenta più della metà dell'insieme, la latinità deve poter accedere a un'adeguata rappresentatività in seno all' Europa.

Lei sa che le materie trattate in seno alle istituzioni europee sono spesso molto tecniche e complesse. Le faccio un esempio fra tanti: il fatto di ridurre le lingue in seno alle riunioni del Consiglio, al solo Francese e Inglese, in particolare allorché si tratta di gruppi di lavoro, fa sí che l'Italia invece di mandare a Bruxelles l'esperto più qualificato, in una determinata materia, finisce con il mandare quello che mastica meglio l'inglese e il francese con grave danno per l'effettiva partecipazione dell'Italia ai lavori in corso e alla eventuale difesa di certe posizioni. Ma non è tutto, l'esperto italiano, l'Ambasciatore, il Ministro per quanto possano esprimersi bene in una delle due lingue di lavoro non saranno mai cosí a loro agio come quando si esprimono nella loro lingua.

So bene che la sinistra italiana, per il momento, non è al governo ma questo della lingua è un tema d'interesse nazionale che va al dilà degli interessi dei singoli partiti. Per questa ragione penso che bisognerebbe prendere iniziative che possano trovare un consenso generale, oltrepassando i divari di altra natura e cortocircuitando eventuali posizioni personali di ministri e altri responsabili politici di alto livello che svendono in saldo e di nascosto il sacrosanto diritto del popolo italiano a far parte dell'Europa con la sua lingua e la sua cultura, alle quali è peraltro universalmente riconosciuto uno spessore di altissima qualità.

Dopo aver trascorso tutta la mia vita a lavorare per l'Europa e conoscendo, più o meno bene, almeno quattro delle lingue dei Paesi della Comunità Europea, le posso dire in tutta onestà che la questione linguistica non è affatto una questione secondaria e che l'Italia per mantenere il livello che le è dovuto deve esigere che l'Italiano sia una delle lingue veicolari, di lavoro e di procedura delle istituzioni europee anche  ricorrendo ai grandi mezzi.

La prego di perdonarmi per il tempo che le ho preso ma ho pensato che lei doveva sapere un certo numero di cose su questo tema.

Anna Maria Campogrande