Ora Italia - Luglio 2008, Intervista completa all'Arca di Noè
Bruxelles, Giugno 2008
Presentiamo in questa sede un’intervista ad Anna Maria Campogrande*, fondatrice dell’associazione “Athena”, per la difesa e la promozione delle lingue ufficiali della Comunità Europea, della quale è Presidente, dove si parla dell’attuale situazione dell’Italia e dei suoi rapporti con l’Unione Europea.
Tra le sue prime considerazioni in un suo articolo, lei individua la presenza di pastoie di una politica economica internazionale che lega le mani e restringe il campo d’azione della politica intesa come funzionale al benessere della società, e parla dell’Italia come di un “paese colonizzato in via di sottosviluppo”.
Il problema non è costituito dalle pastoie della politica economica internazionale in sé, il problema ha origine dalla scissione, sempre più pronunciata, tra potere e sapere che è avvenuta un po’ ovunque ma, in Italia, in maniera più evidente che altrove, dal ’68 in poi. Ancora oggi siamo totalmente immersi nel relativismo di origine sessantottina e quando una delle più illustri teste pensanti della nostra epoca lo denuncia, le critiche piovono da tutte le parti per cercare di farlo tacere. Il ’68 non è il solo fenomeno che ci ha portati alla situazione attuale, ce ne sono altri che si sono coniugati tra loro. Da un lato, il fatto, tabù, che dalla seconda guerra mondiale in poi l’Italia non ha mai recuperato pienamente la sua sovranità, dall’altro, l’instaurarsi di un fenomeno che, a partire dagli Stati Uniti, si è diffuso un po’ ovunque ma, ancora una volta, in Italia, in maniera più accentuata che altrove, quello dei Club internazionali di interesse economico e finanziario che creano di sana pianta e impongono sulla scena politica i propri rappresentanti, donne e uomini, simpatici, piacioni, con la lingua sciolta, non necessariamente colti e intelligenti ma abili, in grado di rappresentare efficacemente gli interessi delle élites internazionali in seno a Parlamenti e Governi.
In che termini il relativismo va considerato l’origine della scissione tra potere e sapere? Certe dinamiche economiche e alcuni sistemi di (non) valori, che mostrano oggi tutti i loro limiti, nascono molto prima…
È vero che certe dinamiche economiche e certe ideologie di non-valori nascono molto prima della scissione tra potere e sapere ma, a mio parere, è con il movimento sessantottino che il relativismo si volgarizza e, come un’onda anomala, invade tutti i settori della società, prima fra tutte la scuola dove non si accettano più le naturali differenze tra gli allievi arrivando all’assurdità di non poter nenche più definire chi è bravo e chi è somaro, confondendo la pari dignità di tutti gli esseri umani con la loro identicità e facendo astrazione della diversità insita nella natura umana. Questa specie di teoria ideologica secondo la quale tutti avrebbero il “diritto” di andare all’Università, a prescindere dalle inclinazioni e dalle qualità personali, è stata deleteria non solo per gli individui, che si sono ritrovati a praticare scelte non maturate in una specie di corrente in voga, avulsa dalla realtà, ma anche per il Paese, per le sue tradizioni, con maestranze di grande qualità e un artigianato di altissimo livello che sono stati danneggiati da queste sciocche e stereotipate visioni del mondo. Sono state abolite le scuole professionali che costituivano il vivaio dell’artigianato, il quale è sempre stato un settore di grande potenzialità in grado di mettere a frutto la creatività italiana. Molti sembrano dimenticare che i più grandi nomi del patrimonio culturale italiano, da Botticelli a Leonardo a Michelangelo, prima di essere tali sono stati degli artigiani. La pari dignità dei cittadini è un valore del tutto indipendente dagli studi fatti e dal mestiere esercitato. Vorrei, peraltro, aggiungere che la scissione tra potere e sapere non è da imputare solo al relativismo che ne è stato il catalizzatore per quei poteri che avevano interesse a cavalcarlo.
Chiarite le origini rimane il fatto che questa pare effettivamente la direzione presa da parecchio tempo: secondo lei che margine d’azione esiste al momento attuale per la classe dirigente italiana?
La classe politica italiana dispone di un largo margine di manovra, tutto sta nella volontà, nella convinzione, nell’impegno, di portare avanti un progetto nell’interesse del Paese e dei cittadini, invece di abbandonarsi al conformismo internazionale e alla facilità. Portare avanti un discorso, un progetto nell’interesse del proprio Paese in un contesto internazionale non è cosa da poco, richiede molto lavoro, pazienza e una tenacia a tutta prova. Nei contesti internazionali o comunitari, che sia in una funzione stabile o in riunioni ricorrenti, gli Italiani, spesso, arrivano impreparati, non dispongono di istruzioni precise, non esigono documenti e traduzioni nella propria lingua, capiscono i problemi a metà, si annoiano alle riunioni e appena possono scappano a fare lo shopping. Questo schema è vero anche per quanto concerne gli alti e altissimi livelli. Questo andazzo fa sì che, poco a poco, l’Italia perde non solo il suo prestigio e la sua credibilità ma, anzitutto, il ruolo che le compete.
Con questo modello, quali potrebbero essere allora i provvedimenti da adottare subito?
Con un andazzo del genere non è facile trovare delle soluzioni miracolo, immediate. Secondo me, bisogna ripartire dai valori, dalla scuola, dall’educazione all’interno della famiglia, dall’esempio, dalla meritocrazia. Non una meritocrazia poliziesca che conta le ore, fa timbrare i cartellini, perseguita e licenzia. Una meritocrazia, invece, che prescinda dall’attuale sistema di privilegi, favoritismi e raccomandazioni e che dia a tutti i cittadini, indipendentemente dal ceto, sulla base delle capacità personali, la possibilità di accedere a tutte le funzioni e di arrivare alle cariche più elevate. Una meritocrazia amica, che forma il funzionario, che lo segue, che lo incoraggia, lo valorizza, che dà l’esempio, che trasmette valori, una meritocrazia che dà per scontato che all’interno della Pubblica Amministrazione tutti possono e devono arrivare all’eccellenza nello svolgimento delle loro funzioni. Alcune dichiarazioni fatte, recentemente, da certi ministri mi preoccupano, non vorrei che dopo anni di superficialità, di trascuratezza, di faciloneria, da parte dei Governi, si passasse a un sistema di licenziamento facile. In tal modo, il cittadino e coloro che fanno parte della Pubblica Amministrazione, sarebbero doppiamente e ingiustamente puniti. Lo Stato, per funzionare deve sapersi organizzare, non può rendere responsabili i propri dipendenti del cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione perché il compito di dare l’impronta e lo stile, il compito di conferire la formazione appropriata, di motivare, di trasmettere valori, gli appartiene. Uno Stato che trascura la Scuola, che umilia gli insegnanti, che intraprende riforme suicide, che non dà istruzioni precise e motivate, che non sostiene i propri dipendenti, in particolare nelle missioni a livello internazionale, non può, poi, pretendere di disporre di funzionari perfetti, responsabili e motivati. La Pubblica Amministrazione per svolgere bene il suo compito deve essere competente, permanente e indipendente e non precaria, soggetta a cambiare a ogni cambiamento di Governo con faccendieri improvvisati al suo servizio. La Pubblica Amministrazione è al servizio dello Stato e dei cittadini non dei Governi.
Al di là della situazione interna al nostro paese, dal suo articolo sembra che uno dei problemi principali sia la dipendenza troppo stretta da un sistema, come quello mondiale, dove l’Italia ha scarsa voce in capitolo.
All’interno del sistema mondiale l’Italia ha la dipendenza che vuole avere, non dico che non ci siano vincoli e pressioni di ogni genere ma l’Italia ha la voce in capitolo che si merita, l’Italia non è un piccolo Paese, in nessun senso, e deve avere un comportamento da grande Paese. Se non facciamo le dovute verifiche sull’affidabilità e la fedeltà alle priorità del Paese di coloro che rappresentano l’Italia a livello internazionale, se, al meglio, mandiamo in giro dei rappresentanti conformisti e esterofili, poco preparati e non coscienti della responsabilità nei confronti del proprio Paese e dei propri concittadini, la situazione andrà sempre peggiorando. Non bisogna dimenticare che lo Stato ha il dovere di fare tutte queste verifiche e che, attualmente, per la difesa di interessi particolari, soprattutto nel settore delle imprese, dell’economia e della finanza, ci sono infiltrazioni che operano sistematicamente, ovunque. Il sistema economico mondiale ha la tendenza a occupare tutti gli spazi ma l’Italia, come gli altri Paesi, ha la possibilità di preservarsi, studiando le situazioni, intervenendo in tempo e facendo le scelte giuste. L’economia sta prendendo sempre più potere e tutti sembrano aver dimenticato che le politiche economiche devono essere al servizio dei cittadini e non al servizio delle elites dell’economia e della finanza internazionale. Tutto il sistema delle organizzazioni internazionali del commercio, dell’economia e della finanza deve essere rivisto da capo a fondo, è un sistema predatore messo a punto al servizio di un modello che la grande maggioranza dei Paesi del Mondo, a priori, non ha scelto. Non si capisce perché dovrebbero esserne condizionati. Si tratta, in fin dei conti, di strascichi di un sistema imperialista che avrebbe dovuto concludersi nel secolo passato e che invece continua a vivere e prosperare, forse con protagonisti un po’ diversi, sotto mentite spoglie.
A questo punto viene naturale pensare al nostro rapporto con l’Unione Europea: può essere una risorsa per l’Italia o solamente l’ennesima tappa di una progressiva tendenza negativa?
Purtroppo, l’Italia, in sede europea, ha sprecato le sue cartucce a più riprese e non è certo che abbia ancora capito cosa deve fare. La Comunità Europea, dal canto suo, non è più la prestigiosa sede della competenza e dell’efficienza che è stata per molti anni. A seguito di certe riforme interne alle istituzioni e dei successivi, affrettatissimi, allargamenti, è ormai incapace di funzionare correttamente, assediata dalle cosiddette “lobbies”, a tutti i livelli e in tutte le sedi istituzionali, fa fatica a trovare un orientamento proprio che possa conferirle credibilità e ascendente sul cittadino europeo, con il quale, in questi ultimi anni, ha tagliato il cordone ombelicale con insensate politiche linguistiche.
Quindi, alla luce di queste considerazioni, quali prospettive vede per il futuro dell’Unione Europea?
Al momento, non è facile prevedere che cosa accadrà ma una cosa è certa, se la Comunità Europea non riuscirà, molto rapidamente, a liberarsi dalle troppe influenze estranee all’Europa, a sottrarsi alle pressioni di interessi particolari e a ritrovare invece i propri valori e i propri interessi, a rispolverare la preferenza comunitaria, a mettere in primo piano, senza demagogia, le priorità del cittadino europeo, i suoi diritti, i suoi sogni, le sue necessità, a tessere con lui legami autentici, la decadenza del meraviglioso progetto di integrazione dell’Europa è già iniziata.
Non sembra che l’attuale classe dirigente possa discostarsi molto dalle tendenze degli ultimi anni.
Abbiamo, infatti, sempre con le dovute eccezioni, che esistono ma non sono abbastanza numerose da riuscire a dare equilibrio alla situazione, una classe politica di dilettanti che portano il Paese alla rovina. Una classe dirigente irresponsabile nei confronti dei valori e degli interessi del Paese, tanto sul piano interno quanto sul piano internazionale, slegata dai cittadini e dalle realtà, una classe dirigente di delfini politici e di figli di papà che non avendo la necessità di lavorare si sono messi a far politica a tempo pieno, come se si trattasse di occuparsi degli affari di famiglia, senza mai essersi confrontati direttamente e concretamente con la realtà quotidiana del comune mortale, senza aver mai conosciuto il valore, la responsabilità, la disciplina del lavoro quotidiano. Se potessi fare qualcosa per il nostro povero Paese, farei introdurre una regola secondo la quale nessuno dovrebbe poter andare in Parlamento senza aver esercitato un mestiere, che sia quello di spazzino o di alto funzionario dello Stato. I tassinari di Roma, che ho spesso l’occasione di frequentare e con i quali mi piace conversare, sono, sovente, maestri di vita, politici finissimi, informatissimi a livello nazionale e anche internazionale, conoscono la realtà italiana e la posta in gioco, su qualsiasi questione, molto meglio di certi Ministri di mia conoscenza. L’altro grosso problema nell’attuale momento storico della politica italiana è costituito dall’assenza di una vera, sana, sinistra che riempia il suo ruolo. Il Paese ha bisogno delle forze politiche della sinistra, non una sinistra mangiapreti e sfascia famiglie, e neanche quella che corre dietro alle mode e ai clichés, ma una sinistra che si occupi seriamente dei problemi delle fasce più fragili della popolazione, una sinistra che si preoccupi del prezzo del pane e del latte, della spesa delle madri di famiglia e della qualità, sempre più scadente, dei prodotti, della pericolosa tendenza del mercato alimentare a diventare un mercato duale. Una sinistra che si preoccupi di sollevare le famiglie dal peso economico dei figli, di dare sostegno alle mamme con bimbi piccoli e in età scolastica, mediante asili nido e orari compatibili con gli orari di lavoro dei genitori. Una sinistra che reclami il diritto di vita una normale e vivibile, per tutti, e la esiga iscrivendola nella pietra delle Leggi nazionali, una sinistra che esiga le infrastrutture necessarie per ridare fiducia alle classi sociali meno abbienti e rilanci la speranza di un futuro migliore ponendo fine alle catastrofiche previsioni di una demografia in inesorabile declino. Una sinistra che si preoccupi degli abusi della privatizzazione che invade tutti i campi anche quelli che sono strettamente legati alla responsabilità dello Stato nei confronti dei cittadini, quali la fornitura di acqua, luce, gas, l’organizzazione equa e accessibile a tutti dei servizi postali, dei trasporti, della scuola, e quant’altro. La sinistra ha il dovere, urgente, di riappropriarsi del suo ruolo e farla finita con le scempiaggini all’americana come il “yes we can” che il “Popolo sovrano” il solo, vero, protagonista dello Stato democratico, non capisce neanche cosa vuol dire. La sinistra si deve preoccupare dello smantellamento in atto, in Italia e in Europa, dello stato sociale, si deve occupare delle bollette che arrivano a casa degli utenti con cifre che non hanno alcuna attinenza con la realtà e che non si possono neanche contestare poiché la privatizzazione ha fatto scomparire gli interlocutori delle compagnie, le quali in molti comuni e città non hanno più uffici aperti al pubblico, non si degnano di rispondere alle lettere di protesta e si rendono irraggiungibili via complicatissimi sistemi telefonici.
Quali sono le debolezze del sistema politico italiano? Lei parla di pubblica istruzione come risorsa da cui ripartire per creare una coscienza, per così dire, sociale, di carattere trasversale, tanto nella classe dirigente quanto in chiunque altro.
Il vero problema dell’Italia è quello di dover sempre ricordare la necessità di creare una coscienza “trasversale” allorché l’interesse del Paese dovrebbe, digià, far parte della cultura “generale” ben ancorato nella coscienza collettiva. Con le dovute eccezioni, la classe dirigente è fanatica, settaria, strumentalizza qualsiasi cosa viene detto dagli avversari, facendo anche poco fiducia al cittadino italiano che non ha bisogno di interpreti per capire cosa dicono e cosa vogliono dire i politici dell’una e dell’altra parte. Recentemente ho sentito con le mie orecchie un dirigente politico che urlava come un pazzo “la destra in questi ultimi tempi ha seminato odio e razzismo nel Paese”. Pur non essendo mai stata una persona di destra e pur avendo conosciuto molto tempo fa’ questo personaggio e avendo nei suoi confronti une certa simpatia personale, non ho potuto fare a meno di sentire un profondo senso di scoraggiamento e di rigetto perché simili affermazioni, per di più, non fondate, nella situazione attuale, non fanno bene a nessuno e danneggiano tutti, anzitutto l’Italia. L’attuale contesto europeo, nel quale l’Italia è inserita, fa da cassa di risonanza e tutto quello che viene detto a livello nazionale, vero o falso che sia, viene ripetuto e ingigantito, senz’alcuna verifica. A causa della litigiosità interna, a causa delle dichiarazioni irresponsabili e demagogiche di certe fazioni politiche, oggi, l’Italia, in sede europea, passa per un Paese razzista allorché è sempre stato ed è tuttora il Paese più aperto e accogliente d’Europa. Questa volontà di autodistruzione mi ferisce personalmente e profondamente. Quando, a Roma, un cittadino italiano prende a botte un cittadino rumeno perché quest’ultimo gli ha rubato il portafoglio, non si esaminano i fatti ma si comincia a gridare contro il razzismo e la xenofobia che non hanno relazione alcuna con l’accaduto.
Mi permetta una considerazione: la deriva attuale a partire dai media che ogni giorno evidenziano notizie riguardo gli immigrati nel nostro Paese non sembra tanto corrispondente a un’immagine di Paese aperto e accogliente. L’impressione è che si stia cercando di costituire una sorta di clima di paura e che l’operazione, snaturando certi caratteri della nostra identità, stia riuscendo.
Certamente, la deriva attuale non è dovuta al caso, esiste un’orchestrazione dei fenomeni che sfugge al controllo della parte più sana del nostro Paese e della quale i media sono corresponsabili. È per questo che parlo spesso del nuovo colonialismo che devasta l’Europa e dell’Italia come un Paese colonizzato che, dalla seconda guerra mondiale, non ha mai recuperato la sua piena sovranità. In realtà stiamo vivendo un nuovo tipo di guerra, una guerra che non ha bisogno dei carri armati e delle bombe perché l’oggetto di conquista non è il territorio, che comunque è pienamente controllato, ma il nostro modo di pensare, la nostra “forma mentis, il nostro spirito e la nostra anima .
Nel passato recente tuttavia, il sistema italiano ha subito i colpi tremendi di riforme troppo spesso inadatte. In che maniera la pubblica istruzione italiana andrebbe rivista?
La pubblica istruzione dovrebbe anzitutto ripristinare l’aspetto formativo della scuola, un aspetto che è stato trascurato dalle varie riforme che si sono succedute a vantaggio di quello nozionistico, dovrebbe inoltre preoccuparsi di conferire a ogni cittadino il tipo e il livello di formazione che corrisponde alle sue personali attitudini e capacità, eliminando le discriminazioni di tipo sociale. Non mi stancherò mai di ripeterlo, in un regime democratico il livello della scuola deve mantenersi il più alto possibile perché “democrazia” non vuol dire abbassarne il livello dell’insegnamento e del merito affinché tutti si sentano a loro agio nella mediocrità, vuol dire, invece, dare a tutti le stesse opportunità di arrivare al vertice, eliminando tutte le barriere economiche e sociali. Ogni cittadino italiano, se lo desidera e ne ha le capacità, deve poter arrivare al massimo livello di istruzione. In regime democratico, dove sono i cittadini, e non un qualsiasi tipo di “aristocrazia”, coloro ai quali incombe la responsabilità di governare, lo Stato si deve preoccupare di poter disporre di personale qualificato in tutti i settori di attività, pubblica e privata, perché è solo cosí che un Paese progredisce e arriva ad eccellere. Sono i cittadini che lo “portano” ai più alti livelli. In questo senso il primo passo verso la decadenza della scuola italiana è stato quello che ha instaurato la scuola media unica e eliminato le scuole professionali fucina dell’artigianato, dei mestieri e dell’arte, abbassando al contempo il carattere speculativo dell’insegnamento. Le scuole professionali preparavano a esercitare professioni e mestieri, strettamente legati al genio italiano e alla sua ben nota creatività, mestieri che non hanno niente da invidiare a quelli di medico o d’avvocato. Con la scuola media unica e con le successive riforme la Pubblica Istruzione è riuscita a raggiungere il duplice obiettivo di non riuscire più a formare né gli artigiani, né gli intellettuali, i quali se vogliono ottenere una formazione seria devono ricorrere alle scuole private. In ogni mestiere c’è dignità e anche prestigio, dipende da come lo si esercita, tutto dipende dalla qualità che è legata alle attitudini personali ma che può essere molto aiutata da un’adeguata istruzione.
Le problematiche relative alla pubblica istruzione italiana si ripercuotono anche sugli italiani residenti all’estero: un suo intervento pubblicato su La Stampa nei mesi scorsi denunciava una mancanza notevole, sottolineando la mancanza di scuole italiane in Belgio.
La totale mancanza di scuole italiane in Belgio, dove risiedono 400.000 Italiani, è una vergogna nazionale e costituisce un simbolo allarmante della situazione di sfacelo in cui si trova la gestione, da parte dei Governi italiani, della cultura, dell’identità e del prestigio dell’Italia. Un Paese che è simbolo di cultura nel Mondo intero e che fa di tutto per autodistruggersi.
Il Belgio rappresenta un’eccezione o la norma?
Non credo che il Belgio rappresenti un vera eccezione. Qua e là ci sono un po’ ovunque delle scuole italiane ma non corrispondono alle reali necessità. Essendo stata l’Italia un Paese di grande emigrazione e anche di grandi girandoloni, non per niente siamo il Paese di Marco Polo, di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci, la scuola italiana all’estero avrebbe dovuto adeguarsi e accompagnare questo movimento. In particolare, per quanto riguarda l’emigrazione, l’Italia non solo ha mancato di sollecitudine verso i propri cittadini ma si è autosabotata, spogliata di molte risorse vive. Infatti da, un lato, la mancanza di scuole italiane ha leso profondamente i nostri concittadini emigrati, condannandoli a parlare e a scrivere la loro propria lingua madre come degli analfabeti, dall’altro, in un certo modo, l’Italia li ha persi e, di questi tempi, in sede europea, non è cosa da poco. Nel settore dell’emigrazione e dell’attenzione agli interessi del Paese in sede europea, la sciatteria dei Governi Italiani, di qualsiasi orizzonte politico, che si sono succeduti alla guida del Paese, è inqualificabile. Oggi, con i meccanismi che si instaurano in seno alla Comunità Europea, e che la classe dirigente italiana lascia negligentemente passare, l’Italia perde tutti i propri cittadini residenti in altri Paesi europei e perde, in tal modo, anche seggi in seno al Parlamento Europeo.
A questo proposito viene da pensare al ruolo di cui potrebbe godere la lingua italiana: che tipo di tutela le viene riservata all’estero?
Non so cosa succeda in altri Paesi del Mondo ma a Bruxelles, capitale dell’Europa, con un grande numero di cittadini italiani residenti, dove la lingua italiana è diffusa e, da molti, amata, dovrebbe essere oggetto di promozione per affermarne l’importanza e al contempo affermare l’immagine dell’Italia, al contrario, l’Ambasciata Italiana presso il Regno del Belgio, dispone di un sito tutto in inglese nel quale si presenta come Ambassy of Italy. Da parte sua, l’ex Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, partita alcuni mesi fa’, per diffondere la cultura italiana ha pubblicato una serie di libri, bellissimi e costosissimi, in inglese. Non mi pare che si debba aggiungere altro a queste aberrazioni, le quali, se non sono urgentemente eliminate e messe sui binari della correttezza, della lealtà e della fedeltà verso il proprio Paese, porteranno l’Italia, in sede europea, ad avere inesorabilmente un peso minore di quello di Malta. Non è una battuta, in certi casi è già una realtà.
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* Laureata in Scienze Politiche all’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi in Diritto Comunitario, ha sviluppato tutta la sua carriera in seno alla Commissione Europea, essenzialmente, nella Direzione Generale delle Relazioni Esterne. In questo campo, ha assunto incarichi di responsabilità nell’ambito degli accordi tessili con la Romania, delle realzioni bilaterali con la Corea, Hong-Kong, Maccao e Taiwan, in un primo tempo, e con l’Argentina, l’Uruguay e il Gruppo di Rio, in seguito. In questo contesto, al momento di un rilancio delle relazioni con l’America Latina, ha curato, tra l’altro, la concezione e la messa in opera di politiche di cooperazione economica, con i Paesi a reddito medio-basso, orientate all’interesse reciproco. Attualmente è Vice-Presidente della sezione di Bruxelles del sindacato di funzionari europei “Action et Défense” e ha fondato, insieme ad altri colleghi, l’associazione “Athena”, per la difesa e la promozione delle lingue ufficiali della Comunità Europea, della quale è Presidente.
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