Enormi disagi per le famiglie italiane a Bruxelles con figli in età scolastica.
Neanche la Scuola Europea fa più da tappabuchi.
C’è sempre stato un disagio per le famiglie italiane in Belgio con figli da mandare a scuola, qualora ritenessero imprescindibile l’insegnamento nella lingua madre. Ciò appare tanto più incredibile se si tiene conto del fatto che in questo Paese ospitale e, da sempre, amico dell’Italia ci sono circa 450.000 Italiani dei quali 287.000 di nazionalità italiana, circa 100.000 con la doppia nazionalità e i restanti con nazionalità belga per ovvi motivi di lavoro, di famiglia, di vita. In questa situazione oggettiva non si capisce perché un Paese come l’Italia non abbia mai aperto, non già una, ma più scuole italiane, a Bruxelles, a Liegi, a Mons e ovunque la presenza di cittadini italiani lo rendesse necessario.
Invece no, c’è il liceo francese, la scuola tedesca, la scuola inglese, numerose scuole anglo-americane ma non c’è l’ombra di una scuola italiana. Se questo fatto poteva trovare una giustificazione all’epoca delle prime emigrazioni, negli anni subito dopo la seconda guerra mondiale che sono stati anni difficili, anni di ristrettezze, di ricostruzione, di sacrifici per tutti, attualmente non si può più trovare giustificazione alcuna. Da allora, l’Italia ha conosciuto il “bum” economico, anzi più di uno, ha fondato insieme ad altri Paesi la Comunità Europea della quale è contributore netto al terzo posto dopo Germania e Francia, è diventata uno dei grandi Paesi industrializzati, partecipa al G8, coopera con molti Paesi poveri del mondo, apre scuole speciali, sul suo territorio nazionale, in lingua araba e rumena, per gli immigrati. In mezzo a tanto benessere, non c’è che la scuola italiana all’estero che è rimasta quella di un’Italia del dopoguerra con le toppe al sedere.
Per un lungo periodo, con l’installazione delle istituzioni europee a Bruxelles, la Scuola Europea, creata per i figli dei funzionari europei e di tutto l’apparato diplomatico e amministrativo dell’Europa istituzionale, ha, in parte, paliato ai disagi accogliendo anche i figli dei numerosi Italiani che per svariati motivi di lavoro dovevano passare alcuni anni a Bruxelles. Questo dei bambini italiani che, negli anni formativi della scuola, passano da un Paese all’altro per le esigenze di lavoro dei genitori è un punto dolente perché, in mancanza di una scuola italiana, viene a mancare la continuità dell’insegnamento nella lingua madre con la necessità di seguire i corsi in un’altra, a volte in altre lingue e con il rischio di difficoltà e ritardi negli studi.
La Scuola Europea pur non essendo una scuola di livello elevato, come poteva esserlo la scuola italiana di Croce e Gentile, ha comunque facilitato la vita a varie generazioni di genitori italiani. Solo in pochi, più esigenti, rimandavano i figli in Italia per seguire gli studi in una scuola italiana ma la grande maggioranza si è adattata di buon grado all’ordinamento della Scuola Europea anche se il sistema non era proprio ideale e alcune disparità avrebbero dovuto essere decifrate ed eliminate sul nascere.
Gli Italiani esterofili, civilizzati e amanti del quieto vivere si sono adeguati alla situazione con apertura, entusiasmo e con la loro ben nota adattabilità. Purtroppo questa adattabilità, fin troppo celebre, gioca più contro che a favore dei nostri connazionali, a tutti i livelli, anche ai più elevati. L’ambiente comunitario non è più quel circolo di gentiluomini che hanno fondato la Comunità Europea che non solo rispettava la diversità, l’identità, il genio peculiare di ogni membro ma se ne faceva carico tenendone conto e valorizzandolo. Nel cuore pulsante dell’Europa istituzionale vige ormai la legge del più forte e spesso anche del più manovriero, perché il processo di integrzione dell’Europa è stato convertito in un processo di colonizzazione dove mezzi finanziari e intellettuali vengono usati a discapito e non a favore della grande maggioranza dei cittadini europei, dei loro interessi e dei loro valori. Alla fine i nodi sono venuti al pettine, dopo anni di gestione morbida e civile, ci si è dovuti rendere conto che la Scuola Europea, con il Signor Ryan, Segretario Generale d’assalto, aveva decisamente aperto un nuovo capitolo, inaugurando una gestione, a dir poco, autoritaria, opaca e sprovvista della dimensione “comunitaria” che dovrebbe animare qualsiasi progetto e azione che ha un legame diretto con le Istituzioni europee. Nel caso specifico la sezione italiana è risultata particolarmente presa di mira. Al colmo dello spirito di mimetismo e del ridicolo, il gruppo dei genitori costituitosi per la difesa dei diritti della sezione italiana si è dato il nome di “Save My School” nel totale disconoscimento del valore simbolico delle parole.
A causa dell’allargamento, la Scuola Europea si trova confrontata al problema di aprire nuove sezioni nelle lingue dei nuovi arrivati. Invece di trovare una soluzione adeguata per queste nuove sezioni, invece di aprire una nuova scuola per tutti i nuovi arrivati sia dei nuovi che dei vecchi Stati Membri o, eventualmente, trasferire le doppie e triple classi francesi e inglesi che si rimpolpano anche con allievi di altre nazionalità, per far posto ai nuovi arrivati s’è pensato bene di trasferire in blocco tutta la sezione italiana di Woluwé Saint Pierre verso la nuova scuola di Laeken, senza tener conto del parere dei genitori né del luogo di residenza degli stessi. Inoltre, poiché la scuola di Laeken è in costruzione e non si sa quando sarà disponibile, la sezione italiana dovrebbe essere provvisoriamente trasferita in una scuola in disuso, a Berkendael, luogo quantomai fuori mano in relazione ai luoghi di insediamento tradizionale dei funzionari europei già in posto a Bruxelles. Una specie di deportazione forzata senza l’accordo dell’associazione dei genitori né delle autorità italiane ai più alti livelli, le quali sono dovute intervenire a fronte dei mecanismi perfidi che sono stati messi in opera per il trasferimento della sezione italiana della Scuola Europea installata, da decenni, a Woluwé Saint Pierre.
Se è vero che le autorità italiane sono state disponibili e coinvolte in questo dramma, resta il fatto che non solo non ci sono scuole italiane in Belgio e che anche quella boccata di ossiggeno fornita per lungo tempo dalla Scuola Europea sta esaurendosi e diventando sempre più problematica. La politica che sottende questi attacchi e le discriminazioni nei confronti della sezione italiana, mira, a termine, all’iscrizione dei bambini italiani nelle sezioni privilegiate dell’ormai famoso e quantomai mendace trilinguismo, inglese, francese e tedesco, che sta diventando sempre più devastante per la coesione della “comunità europea” dei cittadini, contando sullo spirito di adattamento degli Italiani. La politica dei piccoli passi, inventata dai Padri fondatori dell’Europa, è più che mai in auge anche per andare nella direzione opposta a quella dell’interesse generale. E’ necessario essere molto attenti, prevenire gli attacchi e le strategie di colonizzazione. L’Italia non è un piccolo Paese, in nessun senso, e ha dei doveri imprescindibili nei confronti dei propri cittadini e anche degli Europei. Partecipando efficacemente all’edificazione delle politiche e alla loro esemplarità, al suo livello di civiltà, l’Italia deve promuovere Lei stessa, a livello nazionale e comunitario, le strategie che mettano l’Europa al riparo dalle tattiche di dominio e di potere delle nuove forme di colonialismo economico e culturale.
L’Italia non può continuare ad abbandonare alla deriva tutti i cittadini taliani all’estero con la politica del “fai da te”. È tempo che l’Italia si responsabilizzi nei condronti dei propri cittadini, in particolare di quelli che operano fuori del territorio nazionale, che La rappresentano negli innumerevoli settori della vita civile, imprenditoriale, artistica, e costituiscono i messaggeri della cultura e dell’identità italiana nel Mondo. E’ necessario e urgente che il Governo italiano predisponga e attui, in tempi brevissimi, una politica di Pubblica Istruzione che incorpori tutti gli Italiani all’estero, tramite l’apertura di scuole italiane ovunque la presenza di una comunità italiana lo richieda. La scuola dell’obbligo costituisce un diritto-dovere anche per gli Italiani che vivono e operano al di fuori del territorio nazionale. La negligenza di cui sono oggetto i cittadini italiani all’estero è un’indecenza che non può durare ulteriormente.
Anna Maria Campogrande
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