Intervento di Anna Maria Campogrande Presidente di Athena in occasione della presentazione del Manifesto per la lingua italiana
Torino, 14 Maggio 2012
L’associazione che presiedo, Athena, è stata creata da un gruppo di funzionari delle istituzioni europee e opera in ambito comunitario per la difesa e la promozione delle lingue ufficiali degli Stati Membri. L’italiano è una di queste lingue, in assoluto la più discriminata, grazie, in gran parte, al servilismo, tutto italiano, nei confronti dell’inglese, il quale, in seno alle istituzioni europee è stato proposto, in più occasioni, come lingua unica ad iniziativa di personalità italiane in posti di responsabilità. I funzionari della Commissione Europea formati e abituati alla ricerca sistematica dell’interesse generale, diventato per loro come una seconda natura, si sono accorti, verso la metà degli anni ’90 del secolo scorso, che era in atto una deriva linguistica in seno ai servizi della stessa Commissione ed hanno immediatamente reagito con riunioni e dibattiti interni, con la creazione del GAL (Gruppo d’azione lingue) e, in seguito, di di Athena, appoggiati dall’esterno da molteplici associazioni francesi e tedesche.
Purtroppo, gli Italiani, organi di stampa, associazioni ad hoc, e soprattutto le istituzioni e coloro che ci rappresentano a livello europeo, non sembrano aver ancora capito che la questione linguistica europea non è una questione tra inglese e francese e che non si tratta affatto di scegliere “una” “sola” lingua di “comunicazione” tra i popoli europei. Si tratta, al contrario, di affermare e rendere operante la necessità, peraltro riconosciuta dai Trattati, di disporre di molteplici lingue di riflessione e di concepimento e di creare le condizioni per preservare l’identità europea, garantire la partecipazione di tutti i cittadini e di tutte le civiltà che compongono l’Europa istituzionale al processo di integrazione in corso, sulla base della democrazia, del rispetto reciproco e della corresponsabilità.
La questione linguistica europea non è una semplice questione politica ma dispone di un solido supporto tecnico, quello del dispositivo dei Trattati. Si tratta di una questione da specialisti, in diritto e in diritto comunitario, che non può essere trattata con superficialità a rischio di essere banalizzata e perdere i legali e legittimi punti di appoggio. Deve, invece, essere elaborata in termini accessibili al grande pubblico europeo che è parte in causa e ha il diritto di sapere. E’ necessario agire avendo ben chiaro il quadro “comunitario”, quello del progetto di integrazione, non fare confusione con gli schemi del colonialismo, peraltro stigmatizzato già nel secolo scorso, e non cadere nella trappola della propaganda anglo-americana e del suo pragmatismo opportunista. La questione linguistica europea è tutt’altra cosa di quella che viene venduta come la necesità di una “lingua franca” mondiale, quella lingua di mille parole che si può imparare in alcune settimane e che permette solo una comunicazione spicciola e superficiale.
In seno al processo di integrazione europeo quello che riveste un’importanza fondamentale sono le lingue che si utilizzano nella redazione dei testi originali con i quali si concepiscono Regolamenti, Direttive, Libri Bianchi, Strategie, Accordi di ogni tipo e qualsiasi dispositivo per la messa in opera delle politiche comunitarie. Come si fa’ a non capire che se tutto è redatto e discusso in una sola lingua e si arriva alle traduzioni, per tutti, a posteriori, allorché orientamenti e decisioni sono ormai stati presi, l’unico modello politico, economico, sociale e culturale che domina e che viene veicolato è quello della lingua nella quale il testo orginale è stato redatto ? Che l’uomo della strada non afferri questo concetto, di primo acchito, si può anche comprendere ma che giornalisti, professori, alti funzionari, ambasciatori, ministri, capi di Stato e di Governo non riescano ad afferrarlo è inaccettabile, è un vero scandalo nazionale e mostra chiaramente che l’Italia è un Paese, schiavo, che non ha ancora capito i mececanismi e la posta in gioco dell’integrazione europea.
Al dilà del caso Italia, l’Europa per realizzarsi, per edificare le sue fondamenta, per crescere e diventare una realtà, nel cuore e nella mente di tutti i cittadini europei, ha bisogno di una “intellighenzia” europea e la matrice dell’intellighenzia di qualsiasi popolo del Mondo affonda le sue radici nella lingua madre, quella che, già nel grembo materno, penetra i circuiti cerebrali dell’essere in formazione e imprime il suo modello culturale. Se riusciamo a comprendere e a trasmettere questo concetto, possiamo abbordare la questione linguistica europea nella sua reale dimensione. In caso contrario, avremo l’Europa dell’intellighenzia anglo-americana e di venticinque Stati Membri dell’Unione illetterati, condannati a pensare e ad esprimersi all’interno di uno schema culturale estraneo e inadeguato a estrinsecare i propri peculiari talenti e genialità.
La questione linguistica, in Europa, deve essere regolata sulla base di criteri oggettivi e di parametri dettati dai Trattati fondatori e dal funzionamento istituzionale dell’Unione. Il vero successo dell’inglese, in seno alle istituzioni europee, è quello di essere riuscito a dirottare gli Stati Membri dell’Unione Europea su un terreno pragmatico che non è né legale né legittimo.
E’ necessario rendersi conto che con l’uso di una sola lingua, straniera, per la grande maggioranza degli Stati Membri, venticinque per la precisione, non perfettamente conosciuta, imperfettamente compresa e, soprattutto, imprecisamente redatta, in particolare dagli addetti ai lavori, è il progetto stesso di integrazione dell’Europa che è alla deriva.
Vale la pena di ricordare che l’Unione Europea non è una qualsiasi organizzazione internazionale ma una organizzazione sovrannazionale che legifera e le cui decisioni coinvolgono direttamente la quotidianità dei cittadini europei. Questo dato di fatto indica chiaramente la necessità, imprescindibile, di un plurilinguismo diffuso e sistematico in seno alle istituzioni europee e a livello dei cittadini d’Europa.
Anna Maria Campogrande
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